L’INQUINAMENTO MARINO DA PLASTICA E IL RUOLO DEI PESCATORI
È dato noto che il 70% del nostro pianeta è coperto dal mare. In una società basata sul consumo e sull’usa-e-getta è purtroppo ovvio che ci si ritrovi in situazioni di criticità come quella attuale. 86 milioni sono le tonnellate di plastica di tutti i tipi (sacchetti, cannucce, scarpe, palloni, imballaggi, etc..) presenti in mare, la maggior parte depositata sui fondali: sono causa di inquinamento marino, oltre ai pesticidi e ad altri rifiuti prodotti dall’uomo. Al di fuori degli incidenti di natura straordinaria che minano irrimediabilmente l’ecosistema marino, si va ad aggiungere l’inquinamento delle navi e delle piattaforme petrolifere. Tuttavia il dato più eclatante è quello che entro il 2050 il peso delle plastiche presenti nei mari sarà superiore a quello dei pesci.
Ma perchè si parla soprattutto di plastica? Il problema principale legato a questo materiale derivante dal petrolio è che non è un materiale biodegradabile. Esso resiste nel mare e viene molto spesso ingerita da pesci, mammiferi ed uccelli che vivono nel o grazie al mare. Molto spesso assistiamo alla loro visione con vie respiratorie ostruite o problemi di digestione, o più semplicemente impigliati in oggetti di plastica che ne impediscono il normale sviluppo.
Purtroppo ciò non è dinanzi a tutti finchè ondate di rifiuti plastici si riversano sulle rive dove i bagnanti sono intenti a trascorrere le loro vacanze estive. I fondali saranno anche pieni di rifiuti visibili, ma un altro pericolo invisibile è la presenza di microplastiche. Esse sono dovute ad una serie di processi come la disintegrazione dei rifiuti plastici, il lavaggio dei tessuti sintetici e l’abrasione degli pneumatici, ma anche l’utilizzo di alcuni cosmetici e i detergenti per la pelle e i capelli nei quali sono presenti vengono riversate in mare.
Le sostanze tossiche che si riteneva venissero diluite nella vastità del mare in realtà tornano all’uomo nella catena alimentare. La Convenzione di Londra del 1972 (London Dumping Convention), mirata alla tutela dei mari dall’inquinamento dovuto ai rifiuti tossici e radioattivi, ha portato qualche miglioramento. Ad essa ha fatto seguito il Protocollo di Londra, siglato nel 1996, che ha introdotto restrizioni più severe come il divieto di scaricare e incenerire in mare rifiuti industriali, radioattivi e tossici. Purtroppo, però, gli scarichi avvenuti negli anni passati e l’incessante smaltimento illecito di rifiuti hanno già provocato l’inquinamento dei mari. Anche i rifiuti depositati legalmente possono nuocere gravemente alla salute delle acque marine. Inoltre, le sostanze chimiche continuano a finire per sbaglio nei mari durante la produzione, l’uso e lo smaltimento delle merci.
Che ruolo hanno i pescatori? Molti pescatori aumentano la quantità di rifiuti plastici in mare quando perdono le loro reti che costituiscono il 20% dei rifiuti plastici presenti in mare. L’abitudine peggiore, però, è quella di gettarle in mare aperto una volta rotte e non più utilizzabili. Esse sono delle vere e proprie trappole per i pesci oltre a creare ulteriore inquinamento con la loro disintegrazione. Addirittura sono stati avvistati esemplari di uccelli creare dei nidi con le reti e con pezzi di plastica. Sempre più spesso si vedono poveri pesci e tartarughe intrappolate in esse oppure che se le trascinano attaccate al collo o alle pinne.
Tra i danni che la pesca incontrollata può apportare al mare ritroviamo l’abbandono delle reti di plastica nel mare: delle vere e proprie trappole per molte specie marine.
Secondo il report di Greenpeace “Gost Gear: the abandone fishing nets haunting our Oceans” (“L’equipaggiamento fantasma: le reti da pesca abbandonate che cacciano i nostri Oceani”) ogni anno più di 640mila tonnellate di materiale plastico impiegato nella pesca commerciale è gettato in mare. Si stima che costituisca il 10% dei rifiuti plastici in mare e oceani, ma sono quelli che inquinano di più, coprendo una superficie maggiore.
La questione è diventata talmente di ampio interesse che numerosi attori, pubblici e privati, hanno aderito alla causa creando l’Iniziativa globale sulle attrezzature fantasma (“The global ghost gear initiative (GGGI)”). Essa è la più grande alleanza multisettoriale costituitasi al fine di trovare soluzione a questo enorme problema. Sul loro sito https://www.ghostgear.org/ è possibile trovare informazioni circa l’iniziativa, l’impegno e l’elenco completo degli attori.
Nelle reti finiscono balene, capodogli, delfini, tartarughe e anche piccoli pesci, crostacei ed addirittura gabbiani ed uccelli pescatori.
Cosa si può fare? La soluzione auspicabile è quella di una riduzione dell’utilizzo e della produzione dei prodotti in plastica non riciclabile. Allo stesso tempo urge u na sempre più crescente sensibilizzazione dei consumatori affinchè smaltiscano in modo legale ed efficiente i rifiuti da loro prodotti. Per quanto riguarda i pescatori sono necessari più controlli per evitare l’abbandono delle reti e una loro stessa sensibilizzazione nei confronti del problema. Del resto un aumento dei rifiuti in mare mina pesantemente l’equilibrio ecosistemico con conseguenze anche gravi sulla capacità di riproduzione dei pesci. Ciò è ovvio che si ripercuote sulla quantità e la qualità del pescato. Bisogna dunque che capiscano che oltre al danno ecologico, l’aspetto economico non è da sottovalutare.
Ciò che si auspica è trovare una soluzione globale con l’ausilio dei governi. In UE passi in avanti sono stati fatti. Nel 2019 è stato approvato il divieto totale per gli oggetti di plastica monouso di cui esiste una versione alternativa già disponibile sul mercato: cotton fioc, posate, piatti, cannucce, bastoncini mescola bevande e bastoncini da palloncino. Gli eurodeputati hanno aggiunto alla lista dei prodotti da vietare anche i contenitori per cibo da fast-food in polistirene.
Sono state approvate anche altre misure, come l’estensione della responsabilità per alcune aziende, in particolare per le multinazionali del tabacco, secondo il principio del “chi inquina, paga”. Tale modello si applica anche ai produttori di attrezzatura da pesca, in questo modo si evita che siano i pescatori a dover affrontare i costi della raccolta delle reti da pesca perse in mare.
Fra le altre proposte approvate, l’obiettivo di raggiungere entro il 2029 la raccolta del 90% delle bottiglie di plastica (per esempio attraverso il sistema dei vuoti a rendere) e l’obbligo di etichettatura per i prodotti di tabacco con filtri, i bicchieri di plastica, gli assorbenti igienici e le salviettine umidificate, in modo che gli utenti sappiano come smaltirli correttamente, il tutto corredato da un’attività di sensibilizzazione.
Infine, è stato stabilito che una parte del materiale utilizzato per produrre le bottiglie di plastica debba provenire dalla plastica riciclata in percentuali pari al 25% entro il 2025 e al 30% entro il 2030.
Si spera che anche gli Stati (UE ed extra UE) prendano esempio e varino norme con gli stessi scopi.